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Be my voice, donne iraniane contro apartheid di genere

Basta “legittimazioni e normalizzazione da parte dei governi occidentali, delle leggi barbariche della Repubblica islamica in Iran.

Ogni volta che accettate le loro regole, date al loro governo il potere di reprimere e uccidere di più”. E’ uno dei passi concreti con il quale l’Occidente potrebbe favorire un reale cambiamento in Iran, anche per eliminare “l’apartheid di genere’ del quale continuano ad essere vittime le donne”. Lo spiega nell’incontro con i giornalisti in streaming, l’attivista e giornalista iraniana Masih Alinejad, giornalista e attivista, classe 1976, esule da oltre 13 anni (ora vive con il marito a New York) diventata voce e motore a livello globale, mediatica e via social del movimento di disobbedienza civile delle donne iraniane all’hijab forzato, e un punto di riferimento per far conoscere sia le proteste nelle piazze, che le repressioni violente nel Paese.

Un impegno raccontato dal documentario Be My Voice della cineasta iraniana, anche lei dissidente, Nahid Persson, in arrivo il 7 marzo nelle sale italiane distribuito da Tucker Film in collaborazione con Pordenone Doc Fest – Le Voci del Documentario (dove aveva vinto il Premio del pubblico). Un debutto preceduto da un tour di anteprime con Masih Alinejad e Nahid Persson.


    “Non vedo l’ora di arrivare nel vostro Paese – dice sorridendo l’attivista – come donna non velata, se andassi in Iran finirei subito in prigione, invece in Italia andrò nei cinema”. Il “nostro messaggio è anche “per tutte le donne, gli uomini e i politici occidentali: “le donne nel mio Paese vengono censurate, frustate, mandate in prigione a cause dalla sharia, ma a volte quando condividiamo queste storie veniamo viste come promotrici dell’islamofobia. Noi invece difendiamo il diritto delle donne a non aver paura, a essere libere”. Il coraggio delle iraniane “nell’opporsi a certe regole, dovrebbe essere supportato da una sorellanza, che ora manca, con le donne di tutto il mondo”. Il documentario racconta il percorso di Masih Alinejad nella battaglia per i diritti delle donne (e non solo) iniziata come giornalista parlamentare in Iran e poi continuata negli Usa con campagne mediatiche che ottengono migliaia di adesioni (ha oltre 6 milioni di follower). Lo testimoniano i video che le arrivano, presenti nel film, sia dei gesti di disobbedienza civile in Iran, come lo scoprirsi il capo, di donne di tutte le età, in luoghi pubblici, ma anche delle proteste di piazza contro il governo, come quelle del 2019 e delle repressioni. Tra le immagini più impressionanti, il diario girato di nascosto in prigione, da un oppositore del regime, condannato a morte.


    Una ‘missione’ quella di Masih che l’ha resa un bersaglio, con attacchi personali rivolti anche alla sua famiglia (il fratello è stato condannato a 8 anni di prigione) e continue minacce di morte. Inoltre un anno fa il dipartimento di Giustizia Usa ha svelato un piano per il suo rapimento che avrebbe coinvolto alcuni funzionari iraniani. “Quando l’ho saputo – spiega – ho pensato che ciò che può eliminare i dittatori è proprio avere di fronte delle donne senza paura. Io rifiuto di farmi spaventare, perché non voglio che prevalga l’oscurità”. Una lotta quotidiana alla quale l’attivista, donna dalla personalità forte e vulcanica ma anche trasparente nell’esprimere le sue fragilità, deve affrontare anche le ondate continue di dolore che le arrivano dal suo Paese: “Nahid (già regista di pluripremiati film non fiction come Prostitution Behind The Veil e The Queen and I) spesso piangeva con me, guardando certi video. Ci sono delle volte in cui ti senti senza speranza, come quando ho saputo dell’esecuzione del wrestler Navid Afkari che era stato condannato a morte e aveva condiviso con me la sua storia. Poi però sua madre si è rivolta a me, chiedendomi di continuare la battaglia e altri 25 atleti delle nazionali iraniane hanno aderito alla nostra campagna”. Per avere un cambiamento “abbiamo bisogno di una rivoluzione femminista, appoggiata anche dagli uomini, che ricevono sin da bambini il lavaggio del cervello sul comportamento da adottare verso le donne. E’ un mutamento che passa per le nuove generazioni, mettendo in discussione innanzitutto i divieti imposti in famiglia. La mia lotta contro l’hijab forzato è un pezzo del mio impegno contro l’apartheid di genere. Donne e uomini insieme possono far crollare questo pilastro”.

Voce Mimmo Moramarco