Il tumore alla mammella non è solo una malattia femminile. Anche gli uomini possono esserne colpiti, seppure in misura minore: tra tutti i tumori maschili, infatti, ha un’incidenza dell’1% contro il 25% di quello alla prostata. Ma le percentuali si invertono negli uomini che hanno i ‘geni Jolie’, ovvero portatori di mutazioni nei geni Brca1 e Brca2, dal nome della star americana che ha reso pubblica la sua condizione. L’alterazione aumenta fortemente il rischio di essere colpiti da tumore e predispone a sviluppare circa il 15% dei tumori mammari maschili e il 2% dei tumori della prostata.
Lo ha dimostrato uno studio – pubblicato su Journal of Clinical Oncology – condotto da Laura Ottini dell’università Sapienza di Roma, in collaborazione con Antonis Antoniou dell’università di Cambridge e con numerosi gruppi di ricerca del consorzio internazionale Cimba. Non tutti gli individui che ereditano tali mutazioni hanno, però, uguali probabilità di sviluppare un tumore nel corso della loro vita, tengono a precisare gli autori della ricerca, che è stata anche sostenuta dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc), e si è avvalsa dei dati raccolti analizzando oltre 500.000 polimorfismi in 1.802 uomini portatori di mutazioni in Brca1 e Brca2.
I dati degli individui malati – con un approccio di Gwas (Genome Wide Association Study) – sono stati confrontati con quelli degli individui sani ed è stato elaborato un modello statistico, il Prs (Polygenic Risk Score), basato su 88 polimorfismi per il tumore della mammella e 103 per quello della prostata. Lo studio, reso possibile anche grazie al contributo di Valentina Silvestri, vincitrice di un finanziamento per l’avvio alla ricerca della Sapienza in questo ambito, ha sviluppato un Prs che consente di predire il rischio di sviluppare il tumore della mammella e della prostata in uomini portatori di mutazioni nei geni Brca1e Brca2.
Per esempio, negli uomini portatori di mutazioni in Brca2 il rischio di sviluppare il tumore della prostata è nel complesso di circa il 40%: il Prs consente di classificare questi uomini in individui a basso Prs, cioè con un rischio di circa il 19%, e in individui ad alto Prs, cioè con un rischio di circa il 61%. Nella pratica clinica questa stratificazione potrebbe permettere di sorvegliare ciascun individuo secondo il proprio rischio personale, riservando controlli maggiori agli individui ad alto rischio ovvero ad alto Prs. «Le implicazione di questo studio per la prevenzione e la diagnosi precoce – afferma Laura Ottini – sono notevoli e rispondono alle crescenti richieste di una medicina personalizzata per la quale è fondamentale migliorare l’efficacia degli screening attualmente proposti». (fonte)