Giulio Cavalli è scrittore che ama le metafore estreme e le trasforma in romanzi che nel loro realismo disturbante hanno la forza della denuncia, assoluta e che costringe a pensare se non si vuole voltare la testa da un’altra parte.
E’ stato così con ”Carnaio” (entrato nella cinquina del Campiello 2019) ed è lo stesso ora con questo nuovo romanzo che ne è praticamente il seguito, sessanta anni dopo (nel 2070 circa?) la conseguenza se vogliamo, di un corso delle cose che non si è voluto veramente fermare, cambiare.
    Più che racconti pessimisti, direi che i suoi sono avvertimenti, tentativi con storie ben costruite e scritte di coinvolgere il lettore e fargli capire cosa potrebbe essere il suo, il nostro futuro, nel momento in cui l’empatia umana si azzera, l’altro non suscita più alcun sentimento, ma perché questo sentimento è morto innanzitutto dentro di noi.